domenica 29 maggio 2016

Al Primo Piano

Vediamoci domani  per un caffè:questo l’arrivederci intercorso fra il gruppo di “Les Caves de Pyrene” e Nicola Russo, “chef”  e titolare del ristorante “Al Primo Piano”  in quel di Foggia. Si era stabilita l’ora mediana per incontrarsi, propizia per un aperitivo. Invece l’estro di Nicola Russo covava già altri scenari organolettici :perché mai,per un semplice saluto,telefonare di notte ad un produttore di mozzarelle e prenotare per l’indomani una “bufala” da tre Kg.? Senza neppure rendersene conto ci siamo ritrovati attorno allo stesso desco in sette,travolti da un insolito destino eno-gastronomico: Ezio Cerruti, Nicoletta Bocca, Christian Bucci, Fabrizio Iuli, Paolo Veglio, lo chef e il sottoscritto. Da lì è partita una delle esperienze gustative più appaganti degli ultimi tempi. Nicola ha esordito con trancetti di pizza al pomodoro e alla cipolla prodotti in uno degli ultimi forni a paglia della provincia di Foggia,una vera delizia. Poi l’irruzione al centro del tavolo di un “ treccione” di “bufala” della Masseria “Li Gatti” di Torremaggiore, quella della telefonata notturna. A sostenerne la succosa opulenza un Franciacorta Satèn 2008 di Arcari e Danesi. Quindi si è passati a un duplice “primo”,l’uno espressione del territorio ,l’altro un inno alla mediterraneità:”Troccoletti con verdure selvatiche campestri e granelli di nocciole d’Alba” ,nel contempo foggianità ed omaggio alla terra originaria degli ospiti,seguiti da “Paccheri ai pomodorini  gialli di Orsara, olive taggiasche,capperi di Salina e pecorino pugliese” scenograficamente collocati su di un ceppo ligneo di faggio della Foresta Umbra. Al “Dodo” 2011,sangiovese in purezza prodotto da Arnaldo Rossi della “Taverna pane e vino” di Cortona, il compito di innaffiare le sublimi libagioni. Il “secondo” ha visto la condivisione quasi unanime(Ezio ha degustato un formaggio erborinato di pecora abruzzese delizioso…) di una bistecca oversize di vacca podolica con 30 gg. di frollatura cotta a “tagliata”. Le strisce di carne erano accolte  da una base preventivamente disposta nei piatti:pennellate di aceto balsamico con olio extravergine di oliva,sale nero piramidale di Cipro e,quasi in un angolo,cucchiaiata di piccoli frutti rossi ove intingere la carne a tratti per un apporto di acidità. La beva è proseguita con un Gattinara 2004 di Nervi. Per il  gran finale Nicola si è affidato alla ricotta di pecora( prodotta per uso quasi domestico da un cliente del locale e all’uopo approntata) ridotta ad una crema e sormontata da un profluvio di fiori eduli:calendula,begonia,nasturzio,ginestra e violetta cornuta. A seguire piccole  ciangolerìe di Domori. Su di loro si è deciso di far splendere il “Sol” 2008. Stupenda performance  dunque per lo chef Nicola Russo,in grande spolvero per gli amici di “Les Caves” e  sempre più abile e geniale ai fornelli. Spesso lo chef dice della sua arte:non preparo cibi,regalo emozioni. Stavolta possiamo ben dire ,scrutando i visi radiosi degli astanti,che alle parole son seguiti i fatti . L’emozione era palpabile. Grazie Nicola per lo splendido regalo …di un caffè!! L’umanità carezzevole e premurosa profusa nell’accoglierci ti qualifica  umanamente e professionalmente  e come opportunamente ha puntualizzato Christian Bucci, è bello pensare che i vini di “Les Caves de Pyrene” siano ospitati in una simile alcova gastronomica. Decisamente un momento da  serbare gelosamente nel tesoro dei ricordi più belli.
Rosario Tiso







sabato 14 maggio 2016

Bacco & Perbacco

Nello splendido scenario di Piazza Duomo a Lucera campeggia, da  assoluto faro eno-gastronomico e diretta emanazione dell’anima dei  suoi  facitori, Pier Paolo Petrilli , il suo socio e  valente collaboratore Luigi Bimbo e il grande chef Domenico Grasso, la vineria-ristorante “Bacco & Perbacco”. Pescare dalla sua “sapiente” carta dei vini e degustarne  le succulenti  e creative proposte gastronomiche è la sorte del viandante eno-gastronauta che varca la soglia di questo locale, sincreticamente  esprimente il piglio del wine-bar e l’aplomb del ristorante di “charme”. Tutto merito di Pier Paolo e di Luigi,delle loro scelte. Capaci  di snocciolare agli “intimi”  i loro saperi con un eloquio chiaro e stringente, sono sempre più  ottimi comunicatori  del vino ,vincendo  un’iniziale, palpabile  timidezza.  Ogni singola etichetta presente nel locale parla del  loro gusto e del loro immaginario vinicolo ed  il bere qui diventa un costante fraseggio con il “genius loci” del luogo di provenienza del nettare nel bevante. La mia prima volta da “Bacco e Perbacco” nella “location” di Piazza Duomo, se la memoria non mi inganna,  narra  di un Primitivo inedito, l’Antello delle Murge 2007 di Cristiano Guttarolo, veramente sorprendente. Prodotto naturale,senza l’ausilio della chimica di sintesi, è un primitivo ancestrale che si avvale solo di tecniche di vinificazione tradizionali con il riverbero discreto di un  passaggio in legno. Chiarissimo l’incipit olfattivo richiamante le amarene sotto spirito. Sanguigno. Sui toni dell’eleganza e del furente portato tannico,tralaltro molto ben integrato,il Sagrantino  di Montefalco “Pagliaro” 2006 di Paolo Bea. Qui si sale in altri e alti cieli organolettici. Una lunga macerazione sulle bucce produce una tessitura fitta e dona uno spettro aromatico complesso. Nonostante ciò  il vino sciorina frutto e spezie in grande souplesse,esplode in bocca con una ridda di  sapori senza saturare i sensi e conserva freschezza e bevibilità. Nella versione passita il Sagrantino 2006 di Bea ammalia. Dolce senza essere stucchevole, persistentissimo, suadente, seducente, profuma di frutta ed esala spezie fini e delicate. Armonia e solo un velo impalpabile per il poderoso tannino. Sovente un distillato di Capovilla, tratto da una carta dei distillati  di primissimo ordine, chiude le tante storie da raccontare  su questo autentico antro di delizie che è  “Bacco & Perbacco”.  Riguardo all’aspetto gastronomico, c’è da rilevare  una crescita irrefrenabile del livello qualitativo delle preparazioni culinarie. Lo chef Domenico Grasso  propone sempre nuove sfide gastronomiche agli astanti e si mangia  sempre meglio. Ogni volta, un’autentica avventura del gusto.

Rosario Tiso



sabato 7 maggio 2016

Aspettando il “Clos du Mesnil” 1998

E’ stato un assoluto privilegio, nel mio incessante peregrinare enoico,  condividere col “Degustatore indipendente”, nonché “Bevitore d’Alta quota”,  Antonio Lioce la passione per il vino. Tante ed emozionantissime le bevute condivise, con alcuni indiscussi vertici qualitativi. Primo fra tutti quello che coincide con l’universo dello champagne  Krug. Ricordo con quanta assidua e pervicace determinazione l’abbiamo braccato da sempre. Innumerevoli le “Grande Cuvée” degustate. Poi l’impresa , anche economica, di abbordare l’ambitissimo novero dei millesimati. Dato l’elevato costo, sono sempre stati fuori dalla nostra portata; ma il forte, visionario e immaginifico desiderio profuso nel raggiungerli  ha piegato spesso gli eventi, finendo per concederci svariate ed incredibili occasioni di beva. La nostra prima volta in assoluto è riconducibile ad un calice estemporaneo del millesimo 1981, offertoci generosamente da amici facoltosi sul finire degli anni ’90. Ma la prima, vera, “nostra” bottiglia, risale al gennaio 2001 con il Krug 1988. Indescrivibile l’entusiasmo. All’epoca non avevo ancora il vezzo di scrivere di vino e di raccontare gli eventi. Posso solo ricordare la nostra inadeguatezza ad analizzare il  profluvio di sensazioni che travolse ed ammutolì  la nostra imberbe capacità di codificarle. Fu proprio una prima volta, nel vero senso del termine, tutta emozionale, disincantata e inspiegabile. Il vero battesimo del fuoco, nel senso di bevuta consapevole e profonda, era di là da venire. Ma non attendemmo poi molto: Krug 1989, 12 marzo 2004. Ad accompagnarlo il Cristal 1996 di Roederer ed un Giulio Ferrari  del 1992. Esagerammo con la quantità, ma cominciammo a capire la qualità. A noi piace talvolta lo stile aereo di certi “Dom Perignon” e l’eleganza suprema di taluni “Cristal” , ma quel che più ci entusiasma  è tutto questo con l’aggiunta della struttura grassa e avvolgente dei Krug , specie dei millesimati,  la loro innumerabile complessità, il riverbero acceso del lavorìo sotteso dei lieviti che li hanno forgiati con esiti finali che giungono fino ai prodromi della poesia. Se l’81 e l’88 presentarono dei lati severi pur nell’espressione del carattere della maison ( crema pasticciera, nocciola tostata, burro fresco, crosta di pane ), l’89 ci spalancò le porte del supremo piacere per la sua dolcezza, il tocco vellutato, il sapore levigato. Sperimentammo per la prima volta, previo il Krug, l’estasi enoica!! L’anno dopo, il 29 dicembre 2005, ci concedemmo l’assoluto privilegio della chiusa del mitico triduo 1988-89-90 con il Krug del 1990. E’ l’unico campione in seguito ribevuto, e risultò assolutamente sontuoso, complesso, godurioso. Anche allora nessun commento scritto ma una fortissima impressione. Pure il Krug 1996, bevuto nel gennaio del 2008, non è stato adeguatamente raccontato. Se volessi farlo adesso, rischierei di ripercorrere sentieri narrativi già battuti. Meglio astenersi dal chiedere conto alla memoria di quella remota esperienza sensoriale. In compenso il Krug 1990, bevuto il 29 luglio del 2009 per festeggiare Giorgio Gaetani ( 1/3 della “Setta dei bevitori estinti” ) nel giorno del suo compleanno, è stato debitamente descritto come pure l’ultimo della serie, il Krug 1998, bevuto il 12 maggio del 2012. Quel giorno ci chiedemmo: a quando il prossimo rimarchevole champagne targato “Krug” ? Nulla faceva presagire che avremmo acquistato, qualche anno dopo, una bottiglia di “Clos du Mesnil” 1998 . E’ destinata all’evento “Vignanotica 2016”. E’ già un’altra avventura, intrisa di un sogno che si appresta a diventare realtà.

Rosario Tiso



mercoledì 4 maggio 2016

Opus wine

Nel reticolo di strette viuzze e stradine inerpicanti che disegnano il centro storico di  San Giovanni  Rotondo ,vezzosamente raccontato nella toponomastica con lo storico idioma locale  affiancato all’italica nomenclatura, c’è uno slargo segreto,una minuscola corte che accoglie l’ingresso di un ristorante (chiamarlo osteria o wine-bar sarebbe riduttivo) “sui generis”,una landa anarchica in un tessuto culturale rurale e contadino,uno sprazzo “cittadino” balenante nel crepuscolo di un malcelato e strisciante provincialismo,ingenerato dalla storica chiusura dei popoli garganici: l’OPUS WINE.
Il nome non è pretenzioso. La citazione e riferimento al più grande vino della storia enologica degli “States”,creatura di Robert Mondavi ,l’Opus One, non azzardato. Basta varcare l’uscio per comprenderlo. Lo sguardo è attratto da un profluvio di eccellenti bottiglie che riposano negli scaffali di legno incastonati nella pietra,alcune vetuste e impolverate,gravide di promesse di piacere. Ci vuole sensibilità e soprattutto competenza per udire l’inudibile fruscio della qualità. La stessa che si evince da ogni dettaglio dell’arredo e del contesto.
Si respira un’atmosfera  familiarmente  rarefatta.
Già “ENOITECA dei Forni” ,il locale è la realizzazione del sogno di distinzione di Giuseppe Placentino.
Giuseppe,un personaggio e un’istituzione a S.Giovanni Rotondo,dalla prorompente personalità,ha sviluppato un “modus vivendi” tutto suo, incentrato fin nei  tratti  estetici sulla ricercata raffinatezza. Quindi  ha trasferito la sua poetica in tutto quello che ha creato. Suo figlio, Pietro Placentino, ne è l’erede e, come spesso accade quando ci sono doti umane non comuni, il moltiplicatore. Perchè l’OPUS WINE è molto di più dell’ENOITECA dei Forni che lo ha generato.
E’ un gruppo affiatato di uomini che lo animano con un calibratissimo mix di leggerezza e professionalità; è un progetto di divulgazione della cultura vinicola e gastronomica che si piega alle esigenze della gente  senza sussiego e percorsi  elitari; è un afflato spirituale che sfocia nella premura amichevole , nell’intento di farti godere  ogni qualvolta siedi  ad uno di quei tavoli lindi e caldi d’accoglienza.
Da Foggia è una sorta di pellegrinaggio pagano recarsi all’Opus Wine. Spesso siamo partiti alla ricerca  della felicità e dell’oblio,di quelle nebbie alcoliche così care al versante immaginifico delle nostre menti,di quel calore umano così prezioso ai nostri cuori.
Se non di solo pane vive l’uomo,l’anima esulta di fronte allo scorrere trionfante di una serie di preparazioni culinarie che rispecchiano fedelmente il territorio e l’eccellenza delle sue materie prime. Sembra di mangiare, più che a casa propria, nella casa delle case, dove convergono e si sintetizzano rivisitazioni,saperi,astuzie gastronomiche di una civiltà.
In una delle tante sere, ad aprire le danze un ricco antipasto, autentico  festival di sapori mediterranei.
In tondo nel piatto scopriamo succulenti asparagi,fagiolini umettati di aceto balsamico della casa(delicato e untuoso  lo ritroviamo asperso su di una fetta di mortadella d’oca scottata su di una piastra rovente),”ciambotto” di patate e melanzane,trancio di pizza rustica,mozzarellina di bufala,melanzana gratinata sormontata da un velo di mozzarella. Rustici salumi sopraggiungono a bilanciare la debordante nota vegetale. Simili sfiziosità per un bianco sapido, nervoso, fresco: un Riesling Kabinett Trocken 2008 “Manderling” del produttore Weegmuller. Il Pfalz-Palatinato è da un decennio in forte ascesa nelle quotazioni  enologiche mondiali. Questo Riesling dimostra ampiamente che il Pfalz non ha nulla da invidiare ad altre zone della Germania storicamente più vocate nella produzione di vini di qualità. Un Riesling di prim’ordine, una vera sorpresa!
Si passa, quasi già definitivamente appagati, alla “terna” dei “primi”. Tre piatti  di uguale, stimolante creatività. L’abbrivio è affidato a dei “Ravioli  di ricotta di bufala e spinaci”conditi con burro,pancetta tesa tagliata a dadini,parmigiano ed una sventagliata di tartufo proveniente dai boschi del Gargano.
Poi è la volta di un assaggio di “Paccheri con pesto di rucola” dal sapore forte e piacevolmente ammandorlato.
Ad innaffiarli uno Chablis Premier Cru Beauroy 2007 del Domaine Hamelin. Non si direbbe uno chardonnay. Il naso ha un tale portato minerale e focaio da lasciare allibiti. Si è incerti fra l’attribuirgli un profilo organolettico da riesling alsaziano o un nerbo da poully-fumè.  Ma è certamente un grande chardonnay,atipico,catalizzatore degli umori terrosi che percorrono il suolo della regione dello Chablis.
Al terzo “primo”,una versione rivisitata della classica”Pasta alla Norma” siciliana,è il momento del rosso. E che rosso: l’etneo Serra della Contessa 2004  di Benanti. Da uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, il cuore della più remota autoctonìa siciliana, è un vino intrigante, vulcanico, sapido, di superiore energia, succoso, dalla bocca trascinante, minerale, vibrante, dall’inconfondibile “imprimatur” territoriale. Una vera prelibatezza.
Uno “Stinco d’agnello” con contorno di patate  ci vede soccombere ai prodromi della saturazione. Si attende ansimanti il finale e le dolcezze del preannunciato “Tortino al cioccolato”.
Nell’attesa il dialogo volteggia come una farfalla sulle nostre pienezze e, sulle ali della nostalgia, si posa su racconti di viaggi e desideri di evasione. La recente morte dello scrittore portoghese Saramago, ultimo supremo cantore della “saudade” lusitana,induce al vagheggiamento della  bellezza  di Lisbona,della lucentezza dei suoi “azulejos”, dello splendore dei suoi miti,della grandezza di Pessoa. Come d’incanto Matteo Melchionda, l’anima gemella e socio di Pietro Placentino nella conduzione dell’Opus Wine,interpretando  la sottile emozione che ci pervade e come sospinto e guidato da un angelo della gioia,ci reca una bottiglia non richiesta di Porto Tawny di 10 anni del produttore Ramos Pinto  proveniente dalla “Quinta de Ervamoira”.E’ il segnale di una magica fusione fra l’immaginifico e il reale,fra mondi concreti e suggestioni spirituali.
E tutto si ricompone in armonia.

Rosario Tiso