Rosario Tiso
venerdì 17 giugno 2016
VIGNANOTICA 2015 - Cap. 5° : Vignanotica, la nostra “Finisterre”
C’è
qualcosa di assoluto che si agita in me
e che rende la percezione di tutto quanto di relativo e transeunte è
intessuta la vita una fatica e talvolta un peso insopportabili. La vista si fa
debole, le ossa dolenti, i muscoli stanchi. Tutto sembra suggerire la
sopravveniente impossibilità e l’inutilità del viaggio, quell’attraversare
l’esistenza con lo sguardo non più o
solo a tratti curioso e innocente del bambino, per poi tornare alla casa della
propria poetica, sempre quella, impolverata e ferma. Il destino, eterno
divenire, contrasta col cuore dove stenta il cambiamento; se il tempo passa io ormai
più non mi evolvo, fisso all’ultima istantanea vitale donatami dalla benigna
prodigalità di un Dio forse troppo avaro di gioie per essere veramente giusto o
per farsi veramente amare. Salvo poi assistere al dissolversi di tutta
l’amarezza in un momento di inattesa
felicità, prontamente registrato dall’anima inaridita come acqua vivificatrice
e narrato nell’ennesima diversa declinazione dal nostro essere sempiternamente
burattinai di parole. Il viandante cerca
l’amore o se ne sottrae, il pellegrino ripercorre sentieri già battuti,
l’errante non sa cosa cercare. Cosa siamo oggi noi a “Vignanotica”? Gaudenti in cerca di oblio.
La “Baia dei Gabbiani” è rimasta
prodigiosamente antica e pura. Qui la natura è veramente e sostanzialmente
incontaminata. In luoghi silenziosi e isolati, deserti di vita se non “vegetale”,
e in remoti recessi nascosti “animale”,
il pensiero vira subito verso esistenze selvagge e raminghe, di umani in
fuga dal mondo. Ce l’abbiamo qui la
nostra “Finisterre”! E questo scenario ,
meravigliosa concrezione di meraviglie , è un posto quasi magico per i viventi
adoratori di Ercole Bibace. Con l’amico Antonio Lioce, “Bevitori d’Alta quota”
nonchè “Degustatori indipendenti”, scendiamo nella valle incantata in preda
alla calura estiva. La pietra conserva il riverbero degli inverni freddi, lenti
e silenti, e sembra rilasciarne gli umori in quella tenue frescura che ci
avvolge a tratti. Il silenzio e la lentezza fanno parte della bellezza della vita. Nel suo diadema più prezioso è
incastonata una gemma: la solidarietà
umana, la condivisione. Simili pensieri sono come lampi che attraversano la
mente mentre varchiamo l’ingresso della grotta ambita, la “nostra” grotta,
sempre quella.
Chiederò ancora una
volta al mare di ospitare i miei vagheggiamenti enoici. Vorrò ritagliarmi un
ulteriore spazio a spese della terraferma. Ma ne vale la pena? Perché l’ambiente marino, l’equorea vastità, le falesie,
la battigia al cospetto della volta celeste? Perché nel silenzio rotto
solo dallo sciabordìo delle onde, davanti all’immensità ,nella solitudine, si
fanno pensieri diversi, di quelli che colmano l’infinito, si dicono cose mai dette,
di quelle che restano scolpite nella memoria, e
lo scambio con i propri simili diventa più profondo. Non c'è novità più
eccitante dello scoprire chi si conosce già per subliminale similarità. Ho
sempre ritenuto coloro che amano il vino, nelle sue più nobili accezioni,
persone un pò speciali. Ogni relazione ruotante intorno ad esso lo conferma. Non è eccessivo parlare di
affinità elettive, di una comunione d'animo e di sentimenti che fa dei cultori
del bere consapevole una grande famiglia. Perchè l’interlocutore “enoico” sento
di conoscerlo da tempo, da quando la coscienza adulta degli uomini e della vita
mi ha guidato nel discernimento della realtà. Perché non c'è da coprire alcuna
distanza fra gli amanti del vino. E il vino, e tutto quello che ne è
illuminato, contribuisce alla bellezza del creato. Vignanotica
o “ Baia dei Gabbiani” che dir si voglia, ci accoglie di nuovo in una solatìa
giornata estiva. Le bottiglie, ovviamente champagne, sono di eccezionale qualità : “Comtes de Champagne”
2004 di Taittinger, “Cuvèe Rare” 2002 di
Piper-Heidsieck, “Clos des Goisses”
2002 di Philipponnat. Quel che c’è di
veramente speciale in un grande champagne, oltre alla bontà del nettare alla
beva, è la Storia che sottende alla sua realizzazione. Con il “Comtes de
Champagne”, Blanc de Blancs Grand Cru , la famiglia Taittinger ha
inteso onorare i Conti di Champagne dopo aver spostato nello splendido
complesso dello Chateau de la Marquetterie, una volta residenza dei “Comtes de
Champagne”, la sede aziendale. Con la
“Cuvèe Rare” la Maison
Piper-Heidsieck ha cercato di
realizzare una bottiglia straordinaria. I latini dicevano “Nomen, omen” : nel nome c’è scritto il
destino. Il “Rare Millesimé “ è uno Champagne
veramente prezioso e raro. Realizzato solo in cinque annate (1979-1988-1998-1999-2002), sfoggia una bottiglia nera,
ornata da foglioline d’oro, molto bella
ed elegante. Una trattazione a parte meriterebbe il “Clos de Goisses” di Philipponnat. Considerato uno dei migliori vigneti della Champagne, il
“Clos de Goisses” è in una posizione di
struggente bellezza. Uscendo dall’abitato di Mareuil-sur-Ay in direzione di Bisseuil, costeggiando la
Marne sulla collinetta denominata Mont de Mareuil, giace la vigna
racchiusa da una cinta muraria. 800 metri di lunghezza, 100 metri di
profondità, 60 metri di dislivello, per 5,5 ettari ( divisi in 11 “lieux-dits” ,singole
giaciture, a loro volta frazionati in 20 parcelle) di puro incanto. Quando la
dorsale vitata si specchia nel canale sottostante, nella delicata luce
crepuscolare, l’insieme assume il sembiante di una bottiglia di champagne
coricata, col collo rivolto ad est. Qui il miglior Pinot Nero della regione sposa
lo Chardonnay per una irripetibile cuvée, fatta di uve sempre poderosamente
zuccherine rispetto agli standard “champenoise”. Fin qui l’antefatto. Come
sempre, la parola finale spetta ai sensi, di sorso in sorso ormai consustanziali
ai nettari nel bevante. Si comincia col “Comtes de Champagne” 2004 di
Taittinger. Questo “Blanc de Blanc Grand Cru” si presenta in una veste luminosissima
percorsa da un perlage molto fine e persistente. Al naso è di
inusitata ampiezza, intenso, espressivo, con aromi floreali di biancospino,
ananas e lime, gessoso e minerale. Al palato è agrumato,goloso e persistente. Si
passa alla “Cuvèe Rare” 2002 di
Piper-Heidsieck. Si tratta di una miscela di 17 cru nel Montagne de
Reims, il 70 per cento chardonnay, il 30 per cento pinot noir. L’oro
filigranato che riveste la bottiglia balena
anche nella trama del liquido odoroso. Il profumo è complesso con note
fruttate e tostate. In bocca è intenso e armonico. “Dulcis in fundo”, una vera
celebrità: “Clos des Goisses” 2002 di
Philipponnat . Il colore è un inno alla solarità. L’olfatto di spiccata
eleganza ha una congenita levità. Si susseguono note di cera d'api, brioche e
caramello. La matrice fruttata emerge a tratti, ma l’acicità lo rende
croccante, per quanto suadente e levigato. L’assaggio sembra una sinfonia: prima
il frutto, poi la freschezza, apportatrice di profondità e dinamismo, infine il
velluto dovuto al lavorìo dei lieviti. Una concia che sfiora la perfezione. Alla fine ci si ritrova assorti. Il luogo
più che suggerire, impone la meditazione.
Non
ci resta che ringraziare la Vita, ancora una volta benigna.
giovedì 16 giugno 2016
VIGNANOTICA 2014 - Capitolo 4° : Il salto di qualità
Cari vini, vi conosco tutti! Mi ci sento così
appagato,con lo sguardo perso nel folto dei colori,i sensi assediati dai sapori
ruzzolanti dalla volta palatale alla lingua e giù fino all’epiglottide. E poi
il delizioso lavorìo della mente a ricamare attendibili sincretismi!
Stili,tessiture,consistenze. Non sono numerosi
i vini veramente buoni,ma ce ne sono comunque tanti. Basta deporre le
armi dell’indagine critica svogliata o parossistica che ostacolano entrambe la fruizione piena del piacere e concedersi
un vagabondaggio sfrenato dettato innanzitutto dalla passione: sbocceranno
scoperte e conquiste. Perché nell’attesa di chi sa suscitare paradisi
organolettici immancabilmente sorge
l’alleato più fidato,il supremo salvatore,la panacea di tutti i
mali:l’abitudine a bere “bene” e a bere
possibilmente “alto”,da veri “Bevitori d’Alta quota”. E come l’esercizio del
ricordo ci riconsegna ogni volta al
nostro volto,alla nostra corporeità,alla nostra essenza,così l’abitudine scende
come un velo,una manna,una nebbia su
sensazioni belle ma anche informi e persino moleste,le ammanta e
progressivamente le rende abitabili. Poi,come pioggia dopo l’inesorabile
accumulazione di cumulo-nembi,può finalmente scatenarsi l’emozione. A volte è più facile di altre emozionarsi
bevendo. Esiste infatti una bevanda che
è la più elegante,mondana,euforizzante e seduttiva del mondo: lo Champagne. Ci
fu un tempo in cui veniva chiamato il “Diavolo biondo”,per il suo straordinario
potere di stregare e rendere sensibile alle tentazioni chiunque lo accostasse.
Perché non occorre vastità di studi enologici e raffinata sensibilità gustativa
per apprezzarne il colore dorato e
brillante,la gaia risalita di fitte e briose catenelle di bollicine,la
tumultuosa effervescenza della spuma che
punge le narici,la fresca carezza del primo sorso,la congenita golosità di
beva. Se poi a questo si aggiunge,per ispirazione preziosa e consolidata,una
magìa contestuale e ambientale che non sia riconducibile ad una sontuosa sala
di un ristorante o alla compagnia di una “femme
fatale “, si è sicuri di essere al cospetto dello scenario più stupefacente
del mondo durante l’evento più atteso. Tutto ciò ha un nome: VIGNANOTICA
,millesimo 2014!!Sull’incanto e la bellezza naturalistica assoluta della
altrimenti detta “Baia dei Gabbiani” ho già scritto e detto tutto in narrazioni
precedenti che raccontano gli eventi “Vignanotica” degli anni passati. Anni di
bellezza insuperata e insuperabile. Bellezza che un provvedimento della locale
amministrazione vorrebbe non più accessibile(Divieto di balneazione,transito e
sosta nei tratti della Baia contornati di falesie!!) per il pericolo di “caduta
massi”. E’ da vent’anni che la roccia tende a sgretolarsi purtroppo!
Tre i moschettieri convenuti per
incrociare calici e bottiglie:Antonio Lioce,lo storico ideatore
dell’evento;Rosario Tiso,il narratore ed il cronista e,”special guest”, Nicola Roni. Evidente il salto di qualità degli
astanti.Chi sia Nicola Roni lo dice il suo pedigree
professionale : Miglior
Enotecario Indipendente del MONDO nel 2005 (Caviste Indépendant – Francia),Ambasciatore
Italiano dello Champagne 2007,Premio Europeo del CIVC(Comitato
interprofessionale dei Vini della Champagne) ad Epernay nel
2007,"Chevalier Ordre des Coteaux Champagne",Importatore e
distributore di Champagne selezionati e Vini internazionali,Sommelier
professionista A.I.S.,Relatore A.I.S. Sette volte “Chapeau”!! Evidente
altresì l’alta qualità dei nettari alla beva. In ordine sparso, c’è AGRAPART
& FILS con lo champagne “Venus Grand Cru 2005”. I vigneti di
Agrapart sono distribuiti su 62 parcelle, la maggior parte delle quali
si trovano nei villaggi grand cru di
Avize, Cramant, Oiry e Oger. Pascal Agrapart
è disinteressato ad essere etichettato come produttore biologico o
biodinamico ma ritiene importante
lavorare la terra in base ai suoi
ritmi naturali e sia il
lavoro in vigna che quello in cantina seguono sostanzialmente questa filosofia.
Gli Agrapart odiano i sapori di botti
nuove. I vini sono in genere imbottigliati intorno alla luna piena di maggio,
con nessuna chiarifica, nessuna filtrazione e nessuna stabilizzazione a freddo.
Da una minuscola porzione del vigneto LA FOSSE di 0,3ha si ricava uno dei millesimati di punta del
produttore:VENUS. Questo nome è anche il nome del cavallo che dissoda il
terreno. Infatti da Agrapart in alcuni
casi si pratica l’aratura con il cavallo per evitare la compattazione del
terreno. Il VENUS GRAND CRU 2005 è un PAS DOSE’ realizzato con il 100% di uve
chardonnay. Sboccatura 2011. C’è poi
EGLY-OURIET con il “Brut Grand Cru Millésime 2003”. Egly Ouriet è un grandissimo produttore di Champagne, lo dicono
tutti. L’abbiamo scoperto qualche
anno fa e ci ha abituati ormai a grandi
esperienze degustative. Questa volta un’eccezione: non è protagonista indiscusso, ma discretamente
dovrà accompagnare un “parterre de roi” enologico in maniera intima e personale,
come solo Egly-Ouriet sa fare. Egly Ouriet è nel cuore
della Montagne de Reims. Il Brut Grand Cru Millésime 2003 è per il 70% Pinot Noir e 30 %
Chardonnay con vigne situate unicamente sul terreno di Ambonnay. Lieviti
indigeni. Si chiarifica come si faceva 50 anni fa. Messo in bottiglia senza
filtraggio o collatura, permane sui lieviti 72 mesi. Sboccato nel luglio 2010. Terzo
campione : FLEURY, con un rappresentante della splendida trilogia dei
millesimati 1995 con differenti dosaggi. E’ lo Champagne “Extra Brut Millesime 1995”. Fleury è un produttore storico della
Côte des Bar, zona più meridionale della Champagne(AUBE). Jean-Pierre e
Sebastien Fleury sono i proprietari di questa azienda antesignana
dell’approccio agronomico biodinamico essendo in tale regime dal 1992.Parte
della produzione affina in legno. Il
vertice qualitativo del marchio Fleury è costituito dai millesimati. Per lo
Champagne Extra Brut Millesime 1995 l’uvaggio è costituito da Pinot Nero
all’80% e da Chardonnay al 20% .Lo
spumante ha riposato 96 mesi in affinamento sui lieviti prima del “degorgement”.
Come il primo campione,ancora dal cuore
della Cote des Blancs ad Avize dove ha sede la maison Bonville che possiede 18
ettari grand cru fra Avize,Cramant e Oger, proviene il quarto champagne.
Recoltant manipulant,Olivier,nipote di Franck, è il vigneron a capo
dell’azienda. Partendo da una viticoltura rispettosa dell’ambiente, Bonville
produce esclusivamente Blanc de Blancs,come l’extra-brut in questione da cui ci
si attende una grande ricchezza
aromatica e una piacevole freschezza. Infine una vera “star”:Dom
Pérignon rosè vintage 1996. Storica
“etichetta”di Champagne, sia bianco che rosè,sempre e solo in versioni
millesimate. Grande perizia da parte dello chef de cave Richard Geoffroy, che
ogni anno sfida se stesso e la natura per produrre un vino che rappresenti lo
stile della Maison che vede nell’armoniosa eleganza, nella complessità e nella
vitale freschezza anche nella maturità i suoi capisaldi. Di certo aiuta
l’accesso alle uve di tutti i 17 territori Grands Crus della Champagne (specie
le 8 eccellenze per il pinot noir di Aÿ, Bouzy, Verzenay, Mailly, e per lo
chardonnay Chouilly, Cramant, Avize e Le Mesnil), otre allo storico Premier Cru
di Hautvillers, dove sorgeva l'Abbazia del celebre monaco. Fin qui i vini;poi i
protagonisti. A dirla tutta fra
i convenuti c’era chi non era granchè in forma. Antonio Lioce,dopo aver
condiviso il giorno prima una di quelle uscite con gli amici dove non si
calcola il resto(nel senso di un totale abbandono agli eventi e
specificatamente alle gozzoviglie eno-gastronomiche),era in condizioni pietose.
Sembrava moribondo, buttato lì sull’asciugamano. Poi il miracolo:lo Champagne
lo ha fatto letteralmente resuscitare!! Maliziosamente azzarderei l’ipotesi
che l’idea che bevessimo le parti di nettare celestiale a lui destinate abbia costituito un movente molto più forte
del malessere psico-fisico!! Ma passiamo alla beva. Nicola ha letteralmente
pontificato. Dall’alto della sua competenza e sensibilità ha
suggerito,rettificato,previsto,sentenziato. Ah,ad averlo sempre fra noi!
L’extra brut di Franck Bonville è stato un perfetto”incipit” gustativo.
Fresco,vibrante di tumultuosa effervescenza,verticale,persino goloso. Bocca
sapientemente ammostata per l’ingresso
del”Venus” di Agrapart. Si coglie la medesima provenienza dal benedetto
“terroir” di Avize e l’identità del vitigno con il precedente campione. Lo
Chardonnay nella sua veste migliore:elegante,a tratti sontuoso,pulito,fresco
,sapido. Con Egly-Ouriet c’è una trama più fitta e ci si predispone ad un
crescendo gustativo sul crinale di una sempre maggiore complessità. Con
l’extra-brut 1995 di Fleury si accede ad
una dimensione terziaria lieve e suadente:campione più avvolgente,aperto più
che puntuto,erbaceo e minerale. Alla fine l’apoteosi:Dom Perignon rosè vintage
1996. Ci sono degustazioni che
sorprendono. Questa sfiora la narrazione epica. Certo l’annata 1996 è stata
memorabile,una delle vendemmie del secolo. Ma simile,immensa complessità non era per niente scontata. C’è tutto quello che si vuole da uno champagne
importante:ampiezza di provocazioni sensoriali,carattere,misurata
ossidazione,tripudio gusto-olfattivo,il riverbero dell’assiduo lavoro dei
lieviti. E’ il tocco di classe di Nicola che,apprese le bottiglie che
recavamo,ha saputo scegliere il giusto abbrivio con Franck Bonville e la giusta
chiusa con una grande e rara “cuvèe prestige”. Mi tocca tributargli un
ulteriore,sentito “Chapeau”!!
Rosario Tiso
mercoledì 15 giugno 2016
VIGNANOTICA 2013 - Capitolo III : Mettersi a nudo
Nessuno
aveva mai osato tanto. Ritrovarsi in un giorno di piena estate alle prime luci
del mattino e prendere la direzione del mare,come ubbidienti ad un segreto
richiamo. Guidare verso la “Montagna Sacra” il corpo e la mente con un carico prezioso e
giungere alla più incantevole delle spiagge mediterranee,incastonata nella Baia
dei Gabbiani: il luogo universalmente conosciuto come “Vignanotica”. Per i “Bevitori d’Alta quota”
è giunto il momento di misurarsi con l’infinito. Recano con sé un “parterre de roi “ enoico da far
impallidire persino un “Simposio
celeste”. Chi ha mai messo in fila bottiglie del seguente calibro,bollicine
così seducenti e rare? In primis,Ferrari
del Centenario,la bottiglia che finisce a punta anziché concava,frutto del
millesimo 1995 ed uscita nel 2002 a
festeggiare i cento anni della celebre azienda spumantistica trentina;poi l’Initial di Jacques Selosse,altro
chardonnay in purezza. A seguire l’Apotre
di David Leclapart,champagne blanc de blancs. Si vira quindi sui toni più
maschi di un celeberrimo blanc de noirs grand cru:il “Les Crayeres” di Egly-Ouriet. Gran finale affidato ad una cuvèe
prestige: “Femme”,della maison
Duval-Leroy,chardonnay con un tocco di pinot noir. Siamo in tre al cospetto di
cotanta preziosità:Antonio Lioce,Rosario Tiso,Antonio Marino.
Dagli abissi
dei loro cieli gli angeli,i cherubini,i
serafini si preparano ad assistere attoniti al
possente dispiegarsi dei sogni degli umani, così maestosi pur nella loro irrealtà , capaci di sedurre ogni esistenza terrena e,ci piace
pensarlo,forse anche ultraterrena. Gli Dei ignari di quel che accade quaggiù
ancora tacciono. Solo la Natura produce le sue consuete melodie:lo sciabordare
dell’acqua che sbatte sulle pietre,il vento che sibila fra le piante
contorte,l’eco sommessa della
sovrastante valle,le alte grida,acute e penetranti,degli uccelli. E noi,in
perfetta sintonia col cosmo. Occupiamo la nostra grotta .La prima a destra,la
più grande. Sistemiamo le masserizie.
Per non
disturbare l’incedere gustativo dei nettari allo stappo abbiamo deciso un
accompagnamento gastronomico lieve:la levità del pesce,e questo cotto “alla
brace”. Solo mazzancolle,seppioline allo spiedo (ben quattro Kg. complessivi…)e
tranci di tonno arricchiranno il quadro sensoriale generale con l’unica
eccezione per una immancabile preparazione territoriale:la bruschetta con i
pomodorini e il tocco esotico della ‘nduja. Scaldatelli di Manfredonia
serviranno da contrappunto cibario per i momenti di stanca e marginali appetiti
. La giornata promette di durare fino al tramonto,occorre essere pronti.
Basteranno gli champagnes? Senza altri indugi accendiamo il fuoco e diamo
inizio all’evento:”Bevitori d’Alta quota a Vignanotica”,A.D. 2013.
Il Ferrari del Centenario è stato concepito
solo per gli addetti ai lavori. Poche bottiglie regalate ad enotecari e
ristoratori . Noi abbiamo avuto la sorte di berlo già in passato,svariati
anni fa,per la generosità di un amico.
Adesso questo 1995 fatto esordire a sette anni dalla vendemmia e tenuto in
bottiglia per oltre un decennio cos’altro avrà da raccontare? Avrà solo “retto”
(orribile condizione di sufficienza) o si sarà arricchito di nuances inedite e rarefatte? Stappiamo…e restiamo
folgorati!! Sembra un grande Montrachet con le bollicine!!
Anselme
Selosse è un eccezionale produttore di Champagne. Dalle sue creature solo
emozioni. Nelle bottiglie “no” piuttosto
niente. Nessuna banalità quando ci si fa cassa di risonanza della Natura. Il
suo Initial è un assemblaggio di tre
annate(nella fattispecie la sboccatura risale
all’Ottobre 2011…) e non è
proprio pulito con un ingente portato di
spontaneità(lieviti,incipiente ossidazione) a disegnarne il profilo.
Fiori,frutta,bella acidità e carattere ad appagare i sensi. Note legnose a ricordarci chi è il pittore e di quale
ulteriore pennello ha voluto avvalersi
per dipingere la sua opera d’arte…
L’Apotre è
la proiezione dell’anima di David Leclapart. Cielo e Terra trovano
nell’Uomo il naturale trait d’union. L’Apostolo di David
è uno champagne grasso e strutturato,con una buona acidità e una certa
persistenza. La vinificazione in legno e la conduzione biodinamica del vigneto
e della vinificazione sono i canali attraverso i quali la grande personalità del
suo facitore finisce per tesserne la
trama. Una grande alternativa alla classicità e al conformismo. Sboccatura
Dicembre 2007.
Egly-Ouriet
è uno dei più emozionanti produttori di
Champagne. Emozione che si ritrova spalmata su tutte le etichette,diversamente
modulata,di intensità variabile ma sempre presente. Con “Les Crayeres” risuonano le trombe dell’Apocalisse. Sboccato
nell’Ottobre del 2010,ha il profilo organolettico di un riesling tedesco con la
mousse. Con le mazzancolle alla brace
è un tripudio dei sensi. Gli Dei dormienti hanno cominciato a destarsi. Cosa
vogliono significare quei mugolii inesprimibili che provengono dalla battigia?
E’ la lingua dei sensi che si smarriscono
in voluttuose spire e non sanno più uscire da labirintiche prigioni di
piacere. Accorrono le deità al nostro improvvisato e pietroso desco,quasi
come commensali giunti tardi al
banchetto,e non sanno se considerarsi invitate ,ed attonite ammirano i voli
pindarici che la fragile umanità sa spiccare
nonostante o forse a causa della sua irriducibile caducità. Con tante
presenze d’intorno ci sembra di far parte di qualcosa di più grande,galassia
nelle galassie,dove anima e carne si
compenetrano fino all’estasi che eleva e precipita,dal fondo dell’anima fino
alle alte vette dello spirito. Con “Femme”1995
di Duval-Leroy è l’apoteosi del gusto,l’orgasmo dopo l’attesa,la freccia
scoccata dall’arco da troppo tempo teso,il compimento e la perfezione del
cerchio. Conchiuso il quale siamo liberi,nella libertà di mettersi finalmente a
nudo,corpo ed emotività.
Rosario Tiso
martedì 14 giugno 2016
VIGNANOTICA 2012 - Capitolo II° : il vino della luce
Pablo
Picasso amava ripetere che il vero lusso consiste nel poter disporre di almeno
una bottiglia di champagne al giorno. Già,difficile dargli torto. Ma dove
gustarla al meglio? Dove rintracciare un adeguato scenario che ne rispetti il
lignaggio?Innumerevoli sono le possibilità,quante le molteplici declinazioni del piacere. Con chi come me adora la contemplazione del
mare,il suo smisurato potere evocativo,il senso d’infinità che trasmette,non
posso che condividere un segreto, forse ormai di Pulcinella.
Alte e bianche falesie che a strapiombo precipitano nell’abbraccio
dell’equoreo elemento che le ha generate,spiaggia di ciottoli,penombra amica
nelle numerose grotte scavate dalle acque sciabordanti e assidue,pini
d’Aleppo,l’ulivo e il carrubo,profumi di macchia mediterranea,sconfinati
silenzi:il sacro luogo è la Baia di Vignanotica. Un tempo inaccessibile se non
dal mare e popolata da sterminate colonie di Gabbiani reali,oggi la splendida baia
garganica conserva la primigenia magìa nei giorni infrasettimanali,prima che
s’accenda il delirio estivo. Vi
giungiamo di martedì, quasi equidistanti dalla consueta invasione festiva,e in uno dei suoi bellissimi anfratti
sistemiamo il nostro campo.
Sì,non siamo
comuni gitanti. Ma “Bevitori d’Alta quota” in azione,studiosi della “beva
enoica consapevole” in missione:Antonio Lioce,Antonio Marino,Rosario Tiso. Al
seguito rechiamo il seguente armamentario eno-gastronomico:gamberoni e
seppioline per ricchi spiedini di pesce,pane di Monte S.Angelo,olio
extra-vergine d’oliva e pomodorini per robuste bruschette,mere sfiziosità quali
olive leccesi piccanti e scaldatelli di
Manfredonia,n’duia calabrese e… soprattutto…una qualificata batteria di
champagne. In ordine sparso:Egly-Ouriet Brut Tradition Grand Cru,”La Closerie” di Jerome Prevost,”L’amateur”
di David Leclapart ,lo champagne Brut Tradition Blanc de Blancs Millesimè 2007
di Fernand Thill e il classico Brut di Pierre Legras. Gli Champagne di
Egly-Ouriet sono il prodotto di una fermentazione rispettosa della Natura,dove
lavorano lieviti indigeni,e non subiscono alcuna filtrazione. Questo Grand
Cru,da uve chardonnay e pinot noir,assembra quattro annate di uve pregiate da
vecchie vigne 100% grand cru. Jerome Prevost è allievo di Anselme Selosse. Ne
“La Closerie” Cuvèe Les Beguines,Blancs de Noirs,Extra-Brut,la filosofia è
quella tipica del vigneron borgognone:Pinot Meunier invecchiato in legno per
poche bottiglie tutte giocate sull’eleganza e la complessità. Con “L’amateur”
di Leclapart,Cuvèe Blanc de blancs,Extra-Brut,Premier cru,si sconfina
nell’universo biodinamico. La fede nel pensiero di Steiner,l’ossequio ai grandi
ritmi naturali e ai tempi e alle pratiche dettate dal calendario di Maria Thun
e una forte spiritualità sono la cifra dell’uomo e del vinificatore.
“L’amateur” si fa ponte fra la terra e il cielo. Nel Brut Tradition di Fernand
Thill si coglie una mano enologica lieve per favorire una bollicina fresca e
delicata così come nel classico Brut di Pierre Legras.
La brace
sfrigolante incalza,leviamo dunque i calici.
Siamo qui,in
un Santuario della Natura,autentico compendio della mediterraneità.
Tutto
trasuda poesia.
Un asciugamano
lasciato sulle pietraie assurge a traccia di memoria,dai radi bagnanti un
riverbero di calda umanità,un’occhiata delle passanti diventa una pennellata di
colore sulle grigie tele delle nostre esistenze.
Il vento
compone melodie mai sentite che rallentano i tumulti del cuore,mentre le ombre
si distendono e sopraggiunge la sera e il sole si inabissa dietro gli spalti
rocciosi e le sentinelle arboree che contornano l’orizzonte.
Il tempo ha
corso troppo in fretta e comunque più della nostra voglia di gioire e di godere
per i doni di questo giorno benedetto. Ma oggi siamo in pace col mondo.
Abbiamo celebrato una meraviglia
dell’umano ingegno e della sua alacre operosità:lo Champagne
Vino esile e
sfuggente come una gazzella
Vino
assorto,come un vecchio saggio
Vino
elegante e misterioso,come un cigno emergente dal buio di acque sciabordanti
nella notte
Vino
gregario,che aiuta a legare con gli altri uomini
Vino corale
e polifonico,che dalla fumèa alcolica emerge e tratteggia le forme
del piacere
Ogni anima dovrebbe inoltrarsi,sospinta dalla beva ,senza più approdi,nel dominio dei
sogni e del vagheggiamento che solo dà un senso di completezza
Non bisogna
aver paura di volare alto e di volere troppo:il passo indietro,la contigua
condizione prudenziale,è il volare basso e il voler troppo poco.
Rosario Tiso
lunedì 13 giugno 2016
“Vignanotica” capitolo I° : Le origini
Alcuni anni
orsono, un’idea balenò nella mente del
“Degustatore Indipendente” e “Bevitore d’Alta quota” Antonio Lioce. Si era
fatta pressante l’esigenza di coniugare l’estasi sensoriale ingenerata dall’esperienza
enoica e l’incanto suggerito da quei luoghi che sono magici nel loro essere
punto d’incontro di più infiniti:l’elemento equoreo che si fa mare,il respiro
dell’universo che si fa cielo, l’insondabile precipizio dell’anima nell’atto di
esprimere l’eterno. Simile fraseggio interiore non è prerogativa di tutti: è riservato
solo a spiriti capaci di ascoltare la voce delle onde che narrano arcane
leggende,di intendere le parole d’amore
recate dal vento,di nutrirsi di luce,di
profumi,di ozio,di abbandono. Così bastò scegliere la baia più bella del mondo,
la cosiddetta “Baia dei Gabbiani”, e i vini preferiti del momento, e uno splendido sincretismo esperienziale prese
corpo: nacque l’evento “Vignanotica” . La “prima” fu la volta del Serpico 1999 dei Feudi di S.Gregorio e del Poggio Golo 1998 della Fattoria del Cerro.
L’anno imprecisato è stato coperto dalla patina discreta della dimenticanza,ma
le emozioni sono presenti come tracce indelebili nei cuori dei due compagni d’avventura che tentarono da
subito e in solido l’impresa: Antonio Lioce e Rosario Tiso. Fu tale la bellezza
del momento che si temette di non riuscire a riviverla. La seconda volta di
Vignanotica quasi ci colse di sorpresa. Raccattammo dei vini quasi
frettolosamente,il Terre Alte di Felluga, il Camelot di Firriato e l’Ognissole
dei Feudi di S.Gregorio, e corremmo ancora una volta alla Baia delle nostre più rarefatte passioni. Fu ancora un
successo e finalmente capimmo : eravamo destinati all’assoluto, proprio noi, proprio
lì. E pensammo, quasi naturalmente, al vino della luce:lo Champagne. Da quel
momento in poi il viatico etilico avrebbe parlato solo il linguaggio delle più
classiche delle bollicine.
Rosario Tiso
sabato 11 giugno 2016
Locanda Bosco San Cristoforo
C’è un posto nel bosco, tra Motta Montecorvino e San Marco
La Catola in provincia di Foggia, che profuma di antico e di cose buone, riluce
di bellezza e di integrità, trasuda umanità ed autenticità: la “Locanda Bosco
San Cristoforo”, ex “Greentime”. Il verde,
“green”, è il suo colore. Il colore del manto arboreo che l’avvolge da più
parti; il colore della speranza del suo “patron”, Giuseppe di Iorio, di
conservare “puro” uno spicchio di mondo per potervi svolgere un’esistenza
naturale insieme ai suoi amici. Perché alla “Locanda Bosco San Cristoforo” è
difficile restare clienti. Sei rapito da un sottile fraseggio interiore al
primo sguardo, di persone che ti guardano negli occhi. Ogni fortilizio formale
cede di schianto:vuoi partecipare di quell’empatia! Dell’ultima volta alla
Locanda, ricordo di un’uva pigiata coi piedi per dar vita ad un vino
particolare, il “Fraccato”. Perché presso la Locanda ha sede un’azienda
agricola biologica e il “Fraccato” è il frutto più pregiato del “vitarium”
aziendale. Alcuni giorni dopo la festa della pigiatura ricordo che promossi una degustazione dei vini della Locanda. Come antefatto procedemmo allo stappo,o per meglio dire alla
sboccatura,di una falanghina spumantizzata realizzata col metodo classico in
quel luogo remoto e silvano. Lo “champagne” si chiama “Breccioloso”;il luogo
della vigna è nei pressi del Bosco di
S.Cristoforo, sul limitare della provincia di Foggia che occhieggia al Molise. Lo
trovammo coralmente intrigante:bella
sapidità,bella acidità,per nulla banale. Vale la pena perciò spendere ulteriori
parole. L’azienda produttrice, come già detto,
si chiama “Agricola Biologica Belvedere” ed è una creatura di Giuseppe di
Iorio, assicuratore prestato all’agricoltura dalla sua immensa passione per il
vino, come la “Locanda Bosco San Cristoforo” che la ospita. Tre i vini
prodotti: il ROSSO MALVONE ,aglianico in purezza ottenuto senza diraspare,il
FRACCATO,rosato da uvaggio in vigna di uve
bianche e rosse come vuole la tradizione e impreziosito da un’arcaica pigiatura
con i piedi e infine il BRECCIOLOSO ,falanghina spumantizzata secondo i dettami
del metodo classico ma senza sboccatura. Proprio l’esigenza di liberarsi delle
fecce suggerisce una procedura artigianale di
“degorgement” : ad uno strato
di cubetti di ghiaccio di qualche centimetro posto in un contenitore qualsiasi
si aggiunge del sale grosso che funge da moltiplicatore dell’azione di
raffreddamento del ghiaccio. La bottiglia si inserisce “di collo” nel ghiaccio
e dopo mezz’ora di freezer ecco
palesarsi un cilindretto di ghiaccio sotto il tappo a corona privo di “bidule”. L’apertura della bottiglia e la
spinta dell’anidride carbonica liberano il cilindretto che imprigiona i lieviti
morti e restituiscono un prodotto limpido e pronto alla beva. Da tempo non vado
alla “Locanda”. Ma è il momento di ritornarci
per rinverdire la pervicace voglia di
sano e di salubre che alberga in ognuno di noi.
Rosario Tiso
venerdì 10 giugno 2016
“La Lanterna” di Mattinata
Nell’approssimarci al ristorante “La Lanterna” di Mattinata poco
o niente faceva presagire una cucina così
magistralmente interpretativa della quintessenza storica ed emozionale del cibo territoriale. Ma l’amico
e sodale di bevute che era con me mi aveva avvertito:chi non è avvezzo (ma anche
chi lo è…)a preparazioni culinarie “daune” dovrebbe mangiare tutto quello che con
maestria lo staff reca ai tavoli con ritmo rapido e incalzante.
Il locale si presenta
carino,lindo e accogliente,di chiara impronta mediterranea,con il bianco e
l’azzurro a colorare i pensieri. Troppo spesso ci imbattiamo,nelle nostre
scorribande gastronomiche,in luoghi ameni
che faticano a centrare la sufficienza qualitativa,specie in località turistiche
di una qualche rilevanza. E qui siamo nel cuore dell’enclave garganica. Troppo spesso si dipana sulle papille gustative
dell’avventore di passaggio il “compitino” dei piatti della correttezza e della
prevedibilità,rassicurante e banale. Qui,al contrario,tutto trasuda genuinità e
rivela un atteggiamento di “resistenza” ad ogni omologazione. Dove è
possibile,oggi ,ritrovarsi a gustare tante minute prelibatezze come quelle
sciorinate dalla cucina de “La Lanterna”? Dalle zucchine fritte alla mozzarella
secca ,dalle “crudità” di mare a
delicate preparazioni di pesce fritto o al forno è tutto un tripudio di sapori.
Fino alla regina incontrastata della tavola ,la pizza,fatta di volta in volta
con lievito “madre”. Saporosa,croccante,con i pomodorini che sanno di
pomodorini,con aromi che richiamano alle radici della mediterraneità,con una
tessitura leggera e fragrante che si riverbera lieve sul portato complessivo
delle libagioni fino a farti credere di poterne mangiare “ad libitum”.
Ancor più sorprendente l’offerta
dei vini e delle birre. Quasi un luogo di confine nella sua essenziale nudità,”La
Lanterna” offre possibilità enoiche che si farebbe fatica a rintracciare anche
in una grande città. Soprattutto per la qualità
nella varietà. La scelta dei vini è caduta su di un binomio inedito e intrigante:Petit
Chablis 2010 di Billaud-Simon e l’Alfiere bianco senza
dosaggio,metodo classico di Croci,anch’esso figlio del millesimo 2010.
Il primo sprigiona didatticamente al naso “nuances” di pietra
focaia ,espressione del terroir
dell’isola chablisienne ,sospesa fra
Borgogna e Champagne. Il colore vivo e brillante racconta la cura profusa dal
suo facitore in ogni fase della sua
realizzazione. E’ una beva piena e appagante. Con l’Alfiere di Croci le correnti gravitazionali del gusto ci
issano sul pianeta “Ortrugo”.
Misconosciuto vitigno dell’oltrepò piacentino,in versione spumantizzata con
rifermentazione in bottiglia è stupefacente. Solo mille esemplari di puro
godimento. Un’acidità abbondante,insieme sapida e minerale,è la cifra degli champagne o metodo classico verticali e
tesi molto apprezzati in questi tempi.
Ma c’è chi preferisce gli champagne
classici,dai profumi biscottati e mielosi,dalle sfumature odorose di
spezie,di marmellate,di brioche,dove il
lavoro dei lieviti è un’ombra olfattiva irriducibile. Ebbene,nell’Alfiere ogni gusto trova di che deliziarsi. E
l’autoctonìa dei lieviti lascia un’impronta che presto diverrà inconfondibile
per gli appassionati. Futuro radioso
attende la creatura di Croci,stella fulgente nel firmamento enoico di “Les Caves de Pyrene”.
Ah,”La Lanterna”!
Più che in un ristorante ,sembra di entrare in una fucina del gusto dove c’è voglia di sperimentare e provare cose nuove in un clima che rasenta sovente la
festosità.
C’è una certa “calda” atmosfera
che si respira.
Lo sguardo deciso e sincero del “patron” fa da
contraltare all’aereo servizio di una
fanciulla che non dà mai l’impressione
di essere in affanno ma sembra scivolare ,quasi a sfiorarti,frusciante e
leggera fra i tavoli.
Stremati dall’ingente portato calorico avremmo avuto bisogno
di un caffè. Ma sono arrivati i dolci ad
aggiungere una ulteriore,esponenziale frazione
di piacere.
Chi si reca a Mattinata cercando
una tavola gourmet è certo che qui la
trova e senza quel sussiego tipico di chi crede di lambire l’eccellenza.
E questo è, ve l’assicuro, la
ciliegina sulla torta.
Rosario Tiso
domenica 5 giugno 2016
Le Giare
Da Massimo Lanini
del ristorante “Le Giare” di Bari stravolgere la consueta e “sedicente”
corretta grammatica enologica è una regola, non l’eccezione. Ogni volta che ci
si approssima al “personaggio” e al suo desco è un’avventura. Cibi dai sapori impeccabili
fanno da sfondo dinamico a vini dalle suggestioni uniche, sovente misconosciuti
e scovati da Massimo nel suo eterno girovagare ed incespicare enoico. I vini
che Massimo propone al bicchiere in
pirotecniche e arbitrarie successioni non sono i migliori, non intendono
neppure gareggiare, ma hanno tutti un comune denominatore: la vocazione di
scatenare la convivialità. Non c’è nulla di caricaturale e costruito in quei
nettari dalle trame inconsuete. Sono piuttosto vini da bere copiosamente, agili,
sapidi, vivi. Di una vitalità che subliminalmente te la ritrovi dentro. Invano, sorso dopo
sorso, l’ignaro avventore insegue riferimenti analogici noti per nomare il
profluvio di sensazioni inedite che avverte montare da arcane sorgenti
interiori. Non resta che l’abbandono alla gioia, al divertimento, al piacere.
Addio nominalizzazioni e tecnicismi!! Quando un vino rispecchia la Natura è
come un uomo che non ha eguali ma
simili, compagni di cordata. Vedere schierate diverse bottiglie a semicerchio e
pronte allo stappo, impazienti di stupire e di stregare, è rivoluzionario.
Perché noi non siamo liberi. Condizionamenti, pregiudizi, miti enoici di ogni sorta ci hanno nutrito fin
dalla nascita alla beva. Ma abbiamo il potere di pensare intenzionalmente e
possiamo, come ha fatto Massimo, creare con la mente il cambiamento ed
implementare un sorta di “rinascimento” enoico che passi attraverso mani che
toccano la terra, sensi che si dispiegano liberi nelle praterie del gusto e
desideri come farfalle dell’immaginazione che si posano di nettare in
nettare a suggerne gli incantevoli umori. Al ristorante “Le Giare” è possibile
tutto questo perché Massimo ha cercato e trovato il suo posto nel mondo. Ecco la breve descrizione di
alcuni dei vini assaggiati l’ultima volta da Massimo : Cesanese del Piglio
Superiore DOCG “Civitella “2012 di Mario Macciocca, saporito, goloso e nel
contempo ampio, di timbro mediterraneo, racconta la sua terra con levità e
sostanza, sempre ritto nella beva mai cadente nonostante il grado alcolico non
certo trascurabile; Cristiano Guttarolo ed il suo rosato,“Violet”, un rosato
tutt’altro che morbido,liscio,patinato come tanti pugliesi. Piuttosto scontroso
all’inizio , conquista poi per il carattere e si sente il canto della vigna
avita, quel Primitivo del nonno tanto amato; Ed infine il “Belle Vignole” 2013
della “Tenuta Macchiarola” di Domenico Mangione. Un Fiano così insolito non
l’avevo mai bevuto. Da sperimentare.
Rosario Tiso
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