domenica 21 febbraio 2016

Wine-bar "Cairoli"

Ci sono giornate da incorniciare.
Bellissime e inutili come oggetti d'arte.
Quando,su di un campo di impressioni autunnali,fioriscono note primaverili.
L'autunno è quello dell'età più che delle stagioni,che colora sempre più la mente,gli occhi,il cuore.
La giovinezza progressivamente si allontana e si dissolve,ed è appannaggio di chi, dell'esistenza, raccoglie or ora il testimone.
In giornate come questa la vita irretisce,seduce,pungola come ai bei tempi, ed invita al viaggio nelle pieghe dei dettagli di cose già obliate.
Scompare la fatica, si risveglia la curiosità, si trasforma il piombo in oro.
Fin dal mattino un “cd”  musicale tanto amato (l'ascolto di"Musicante" di Pino Daniele).   mi ha rimesso al mondo. E in virtù del potere evocativo della musica si è aperto uno squarcio nella memoria. Come d'incanto si è materializzato il fantasma dell'anno trascorso ad Anzio,dove ho fatto il militare e ascoltavo tutto il giorno le canzoni di Pino Daniele nell'Ufficio della Fureria. Ampi finestroni davano sul lungomare e ammiravo i tramonti più belli del Mediterraneo. Quel periodo mi ha scolpito l'anima.
L'assidua frequentazione della capitale (andavo a Roma quasi tutti i fine settimana) mi servì a scrostare ulteriormente la patina di provincialismo che mi portavo addosso e che l'esperienza abortita dell'università non aveva intaccato.
In una realtà cosmopolita e vibrante di fermenti vitali respiravo il mondo,le razze;occhieggiavo alle mille possibilità che contiene un'esistenza.
In mesi febbrili di emozioni e scoperte ho vagliato innumerevoli esperienze,conosciuto, sofferto, amato.
E soprattutto ho scoperto  quanto,ad uno sguardo ampio ed aperto,debba corrispondere, come l'altra faccia di una stessa medaglia, uno sguardo segreto,attento al particolare, per rintracciare il microcosmo più adatto ad accogliere e promuovere la propria evoluzione.
Ora a Foggia,nella mia città,c'è un luogo dell'anima dove i tanti rivoli di energia dispersa negli anni,nei posti e nelle situazioni più disparate,sembrano aver trovato una sintesi.
Il vino è un pretesto.
E anche la cultura che ne è naturale corollario.
Qui,fra questi tavoli,passa il mondo. Quello vero.
Basta saperlo attendere e riconoscere.
Occorre solo quello sguardo segreto,più attento e più acuto,che si sviluppa negli anni dopo sbornie di amori,viaggi,relazioni.
Ecco cosa narra il testo della canzone "Gli amici" di Francesco Guccini :
"..I miei amici veri
(purtroppo o per fortuna)
non sono vagabondi o abbaialuna;
per fortuna o purtroppo
ci tengono alla faccia:
quasi nessuno batte o fa il magnaccia.
Non son razza padrona,
non sono gente arcigna,
siamo volgari come la gramigna;
non so se è pregio o colpa
esser fatti così:
c'è gente che è di casa in serie B.
Contandoli uno a uno
non son certo parecchi,
son come i denti in bocca a certi vecchi;
ma proprio perchè pochi
son buoni fino in fondo
e sempre pronti a masticare il mondo.
.........................
Per quello che ci basta
non c'è da andar lontano
e abbiamo fisso in testa un nostro piano:
se e quando moriremo
(ma la cosa è insicura)
avremo un paradiso su misura,
in tutto somigliante
al solito locale,
ma il bere non si paga e non fa male.
E ci andremo di forza,
senza pagare il fio
di coniugare troppo spesso in Dio....."

Amo pensare che il mio "solito locale" sia il wine-bar Cairoli
dove sono diretto, anche stasera,
come di ritualità consueta.


Rosario  Tiso




domenica 7 febbraio 2016

La regola del 4

Quelli che hanno deciso di bere tutto quanto profumi di qualità senza farsi irretire da inutili steccati ideologici e che si sono conseguentemente auto-definiti “Bevitori Ecumenici”, non disdegnano sovente di tentare l’Alta Quota come da consuetudine consolidata ma con un intento discriminatorio nuovo: la regola del 4. Dopo aver navigato in tutti i vini, il Bevitore sviluppa una propria  poetica. La mia consta di quattro momenti fondanti. Da loro discende la regola del quattro: GIOIA,DIVERTIMENTO,PIACERE,OBLIO. La gioia è il colore di ogni mozione finalizzata al bere. E’ l’abbrivio naturale che predispone all’allegria e al divertimento. Quando si beve si ride! Poi  divampa l’emozione e con essa il piacere,il movente supremo dell’umano prodigarsi. E quando al culmine dello spasmo emotivo si teme la risacca ecco che ci soccorre l’oblio col suo manto consolatorio. Per questo è una follia pensare ad un vino senza alcol;chi ci recherà l’oblio,la panacea di tutti i mali,il tocco sanificatore? La scelta dei vini, ancor prima che essere tecnica, deve  considerare la regola del 4 , regola “aurea” quanto universale del bevitore che si è evoluto verso quella sorta di completezza che lo rende più di un  valente degustatore:essere consapevolmente uomini è più bello e vale di più. Per innescare la giusta sinergia i vini devono essere veri. E un vino è vero se lo è il suo produttore. Non si sfugge a questa semplice regola. Ci sono piani subliminali in cui tutto si fa chiaro:dalla passione di un vignaiolo sognatore scaturisce una realizzazione enologica che racconta una storia. Il “Bevitore Ecumenico”,che si è liberato dalle zavorre pseudo-intellettuali del sedicente esperto e che assapora il cuore della vita,è l’unico capace di ascoltarla. E di narrarla a sua volta,come in una sorta di novella tradizione orale ed emozionale. La soddisfazione si fa totale e la gioia di vivere continua, tracimante ad ogni gesto, ad ogni parola. I “Bevitori” ormai “Ecumenici”, hanno di che godere, costantemente in Alta quota e con la regola del 4 .
Rosario Tiso



martedì 2 febbraio 2016

I Bevitori d’una volta

Col  diventare un  “Bevitore  Ecumenico” credevo di aver tratto la mia barca enoica in rada. Lontani i settarismi, i randagismi, gli elitarismi nella beva e una felice e sincretica ricomposizione di tutte le istanze. Ma la vita è eterno movimento e non finisce mai di fornire ulteriori spunti di riflessione. Alcuni settori della critica enologica, attività in gran parte parassitaria e supponente, da un po’ di tempo propongono come universali propri e personalissimi  criteri di valutazione , mischiando le carte antiche e sempre nuove dell’arte della degustazione. Se un tempo la ricchezza in estratti, il grado alcolico, la possanza e l’intensità  erano percepite in generale come qualità, adesso qualcuno tende a prediligere la bevibilità, la digeribilità, una sorta di non meglio definita levità , ma soprattutto dichiara il primato dell’acidità fra gli elementi portanti e strutturali di un vino, in sostanza preferisce la verticalità.  I vini acidi sono preferiti a quelli suadenti e mentre i primi, nel nervosismo della trama, si ritengono espressione di vitalità, nei secondi, nella placida  armonia del tocco, si crede di intravvedere una sorta di stucchevole piattezza. Dopo aver per anni irretito i produttori ,spingendoli  verso uno stile produttivo volto all’ottenimento di parossistiche concentrazioni in vigna che ha portato progressivamente all’ottenimento di uve sempre più ricche e zuccherine, si vorrebbe dagli stessi una sorta di “dietro-front”  stilistico e si declamano i pregi di vini esili, vibranti, sapidi a scapito di quelli opulenti, caldi, morbidi che sono però  i  soli nettari che possono scaturire dalle suddette uve. Ma chi l’ha detto che l’alto grado alcolico non è cosa buona? Che la tendenza dolce è disdicevole? Che l’equilibrio è noioso? Così, come per incanto, si respingono veri gioielli dell’enologia mondiale osannati fino al giorno prima. Prendiamo il caso del “Kurni”, uno dei vini più controversi degli ultimi tempi. Chi non lo apprezza può nascondersi e salvarsi dal pubblico ludibrio solo dietro alla massima latina del “De gustibus non disputandum est”. Il “Kurni” è  un nettare sontuoso, dalla trama incredibilmente ricca e saporosa. Lo sanno anche quelli che non lo apprezzano. Però lo criticano. Il doppio passaggio in legno nuovo è il “cavallo di Troia”( insieme ad una sensazione diffusa e montante di dolcezza) utilizzato per parlarne male,  anche perché sul rigore produttivo in vigna e in cantina siamo di fronte ad una realtà esemplare e irripetibile e difficilmente reprensibile. Ma quando lo si beve, ed è qui il punto,  non è come ciucciare la gamba di una sedia come quando si degusta un campione della Napa Valley e come vorrebbe suggerire qualche detrattore! Il “Kurni” sciorina un equilibrio fantastico e i tannini ellagici sono perfettamente integrati; il frutto  è esplosivo, le spezie dolci, il grado alcolico importante. Poi c’è chi dice che è buono, ma non si riesce a finire la bottiglia. Forse “loro”, i dispensatori di un simile giudizio,  non riescono a finire la bottiglia! Non certo ha questo problema chi ama il vino, è aduso a berne e non ha bisogno della sferza acida e della freschezza per incentivare  la beva! E soprattutto vede nell’alcol una colonna portante della costruzione enoica e non un nemico. Sono tanti i bevitori un po’ fragilini, che svengono dopo qualche bicchiere! Dovrebbero cambiare mestiere, altro che critica  enologica!! Andrebbe loro suggerito il campo delle limonate e affini !!!
Che nostalgia  i nobili e sapienti “Bevitori d’una volta” , quelli che bevevano e apprezzavano quasi tutto , che raramente innalzavano steccati ideologici ed erano rispettosi del lavoro altrui, quelli  sempre pronti a meditare davanti ad un bicchiere e ad involarsi ed obliarsi su ali alcoliche e che non badavano poi tanto al cibo e non pensavano a chissà agli abbinamenti , sempre disposti all’ulteriore bicchiere chiarificatore. Quelli hanno fatto la Storia del vino, e non il  puttanaio “ intelletual-radical-chic “  odierno.

Rosario Tiso



lunedì 1 febbraio 2016

Il Bevitore Ecumenico

Chiunque conosca il mio percorso sulla strada della consapevolezza enoica sa che non ho mai avuto l’ossessione  di trovare un approdo,un ricovero intellettuale o di costruire una cosmogonìa vinicola che mi appagasse; bensì la spinta ad esplorare,tentare le strade più ardite,perché il vino è un universo infinito. Credevo che questa tendenza così complessa,articolata ed entusiasmante  non sarebbe durata tutta la vita. Così sono passato dalla “Setta dei Bevitori estinti” ai “Bevitori Randagi”, dal “Simposio dei Gaudenti” ai “Bevitori d’Alta quota” e agli “Sfracanati”. E quando sembrava tutto compiuto, ecco  attendermi  un ulteriore passaggio,l’approdo al gradino più alto della scala evolutiva del degustatore appassionato: il diventare un “Bevitore Ecumenico”. La critica enologica è quella specie di  consorteria sovranazionale collocabile idealmente fra una lobby e una casta (portatrice di una sorta di “lebbra” intellettuale )che ci ha fatto ritenere pregi del vino o comunque addendi  qualificanti  le  nuances dette “gout de rancio”(gusto di rancido),“merde de poule” (escrementi di pollo), “goudron”(catrame) e svariati sentori animali quali  la “pipì di gatto” ,l’afrore che promana da  un  “cavallo sudato” ,il vezzoso “foxy”,sentore di  volpe in fuga dal corno dei cacciatori,etc. etc. Chi avesse osato  sollevare obiezioni  circa l’esistenza e la valenza positiva di simili amenità era ed è sbeffeggiato e deriso col malcelato intento di promuovere l’insorgenza di un senso di inadeguatezza nel reietto. Quando trattasi di campioni particolarmente vetusti poi ,è roba da setta esoterica. Bottiglie aperte con cautele chirurgiche e attese ore,giorni (a volte settimane!!), bevute cerebrali,descrizioni mirabolanti  e criptiche e chiusa d’ordinanza con la fatidica frase che non è vino per tutti i palati. Chiaramente…ed ovviamente…quasi nessuna possibilità di riscontri o smentite. Chi ci libererà da queste menate autoreferenziali,dalle bottiglie ritrovate  nelle stive delle navi naufragate o dimenticate in remoti recessi di cantine sotterranee e immancabilmente ancora e miracolosamente buone? Dai “brunelli” centenari e dai “porto” ultracentenari? Dagli champagne bevuti quando non ci sono più bollicine,dai vini bianchi costretti a fare i rossi da lungo invecchiamento,da rossi ormai decrepiti e capaci solo di identificarsi nel paradigma dell’ambiguità formato dai termini elegante,fine ed etereo che in ultima analisi sono parole che non sai mai quello che vogliono veramente significare? Ai saccenti,ai supponenti,ai ricchi, ai “rigattieri del gusto” ,coloro  che quando avvertono in degustazione un che di putrido,marcescente,mefitico si mettono a fare i curiosi,dico: bevete e godete finchè potete,ma capirci qualcosa è questione ardua,aperta,irrisolta e irrisolvibile. Insormontabile la montagna del gusto personale. Opinabile qualsiasi costruzione intellettuale. Fallace la facoltà dei sensi. Per cui ognuno invecchi come più gli aggrada e cessino i rumori di battaglia e si smantellino gli schieramenti:non è più tempo di pontificare. La verità enologica è un Giano “bifronte” con la faccia dell’Autarchia a contrapporsi all’Ecumenismo enologico. Se da un lato ciascuno deve fare i conti col proprio estro,la propria individualità,la soggettività del proprio schema sensoriale(ho conosciuto degustatori che di fronte all’obiezione di eccessiva acidità in un vino sostenevano la bontà dell’aceto!!),dall’altro è del tutto infondato qualsiasi teorema di superiorità organolettica . Non ci resta che amare  tutti i vini. Sarebbe ingeneroso infangare l’operato di tanti uomini appassionati solo perché sostengono uno scenario gustativo alternativo al nostro o parlare di un Dio minore per tanta parte dei doni  della vite. Il gusto personale resta;l’universalità del gusto e del piacere sensoriale trascende la nostra limitata esistenza. Pertanto non mi unisco a nessuna schiera,non sostengo nessuna tesi esclusiva,non mi interessa nessuna battaglia di parte se non a fronte di clamorosi delitti perpetrati a danno della collettività e della Natura che ci ospita. La manipolazione agronomica ed enologica è una scelta personale ed una prerogativa dell’uomo nell’atto creativo:se condotta con onestà intellettuale non è perseguibile!!  L’afflato artistico appartiene alla Natura?Non sempre,e spesso è  evidente il primato dell’uomo : Valentini, Gaja, Gravner, Tasca d’Almerita, Marchese Incisa della Rocchetta ,Romano dal Forno, Marco Casolanetti, Gianfranco Fino, Sergio Manetti stanno a testimoniarlo e potrei continuare all’infinito.  I vini che derivano da diverse visioni del mondo della viticoltura e della trasformazione dei suoi frutti sono diversissimi tra loro ma,al netto di ragioni meramente salutiste,c’è del buono in tanta parte del mondo enologico(e non solo nel nostro recinto preferito!!)ed è estremamente qualificante dal punto di vista umano ed esperienziale riuscire ad ottenere il bacio del piacere in misura certamente variabile ma da più parti. Così a me piacciono soprattutto  i vini cosiddetti naturali(più o meno veri,più o meno biodinamici:ormai bevo quasi solo quelli!!) ma non ho motivo per rifiutare le costruzioni enologiche che inseguono un ideale di classicità fondato  sulla scienza enologica che da Emìle Peynaud discende fino ai  “guru”  dei  nostri  tempi, i Rolland, i Cotarella, i Cipresso, girovaghi e contesissimi. A me non è mai capitato  di seguire il pensiero dominante,mai. Ho sempre aspettato il responso del bicchiere,il confronto diretto con la realtà che intendevo affrontare organoletticamente. Quale verità è mai quella che al di là della collina cambia,che non è stata e che presumibilmente non sarà,e che sul più bello spesso naufraga e ti costringe a fideistici salti nel buio? Non mi vergogno di  quello che mi procura piacere,di quello che me ne ha procurato e del piacere che verrà: tutto cambia ma c’è qualcosa di più grande che tutto contiene. Così non butto nulla e cerco di espandere i sensi per contenere la generalità delle sensazioni ingenerate da una bevuta,senza steccati ideologici. Un cuore espanso è l’approccio più adatto per andare incontro a nettari di ogni tipo e di qualsivoglia parte del mondo. E a chi considerasse l’adesione al “tutto”  una sorta di qualunquismo rispondo con una massima che campeggia all’ingresso di un monastero zen:” Prima di praticare per trent'anni lo Zen vedevo le montagne come montagne e le acque come acque. Quando giunsi a una sapienza più profonda, vidi che le montagne non sono montagne e le acque non sono acque. Ora che ho raggiunto l'essenza della sapienza, sono in pace, perché vedo le montagne come montagne e le acque come acque.”   Ch'ing-yuan;  ovvero “tutto si comprende,tutto si nega,tutto si ritrova alla luce di una consapevolezza più profonda”. E alla fine si accetta,perché un frammento di verità alberga in ogni cosa.
Rosario Tiso