Col
diventare un “Bevitore Ecumenico” credevo di aver tratto la mia
barca enoica in rada. Lontani i settarismi, i randagismi, gli elitarismi nella
beva e una felice e sincretica ricomposizione di tutte le istanze. Ma la vita è
eterno movimento e non finisce mai di fornire ulteriori spunti di riflessione.
Alcuni settori della critica enologica, attività in gran parte parassitaria e
supponente, da un po’ di tempo propongono come universali propri e
personalissimi criteri di valutazione ,
mischiando le carte antiche e sempre nuove dell’arte della degustazione. Se un
tempo la ricchezza in estratti, il grado alcolico, la possanza e
l’intensità erano percepite in generale
come qualità, adesso qualcuno tende a prediligere la bevibilità, la
digeribilità, una sorta di non meglio definita levità , ma soprattutto dichiara
il primato dell’acidità fra gli elementi portanti e strutturali di un vino, in
sostanza preferisce la verticalità. I
vini acidi sono preferiti a quelli suadenti e mentre i primi, nel nervosismo
della trama, si ritengono espressione di vitalità, nei secondi, nella
placida armonia del tocco, si crede di
intravvedere una sorta di stucchevole piattezza. Dopo aver per anni irretito i
produttori ,spingendoli verso uno stile
produttivo volto all’ottenimento di parossistiche concentrazioni in vigna che
ha portato progressivamente all’ottenimento di uve sempre più ricche e
zuccherine, si vorrebbe dagli stessi una sorta di “dietro-front” stilistico e si declamano i pregi di vini esili,
vibranti, sapidi a scapito di quelli opulenti, caldi, morbidi che sono
però i
soli nettari che possono scaturire dalle suddette uve. Ma chi l’ha detto
che l’alto grado alcolico non è cosa buona? Che la tendenza dolce è
disdicevole? Che l’equilibrio è noioso? Così, come per incanto, si respingono
veri gioielli dell’enologia mondiale osannati fino al giorno prima. Prendiamo
il caso del “Kurni”, uno dei vini più controversi degli ultimi tempi. Chi non
lo apprezza può nascondersi e salvarsi dal pubblico ludibrio solo dietro alla
massima latina del “De gustibus non disputandum est”. Il “Kurni” è un nettare sontuoso, dalla trama
incredibilmente ricca e saporosa. Lo sanno anche quelli che non lo apprezzano.
Però lo criticano. Il doppio passaggio in legno nuovo è il “cavallo di Troia”(
insieme ad una sensazione diffusa e montante di dolcezza) utilizzato per
parlarne male, anche perché sul rigore
produttivo in vigna e in cantina siamo di fronte ad una realtà esemplare e
irripetibile e difficilmente reprensibile. Ma quando lo si beve, ed è qui il
punto, non è come ciucciare la gamba di
una sedia come quando si degusta un campione della Napa Valley e come vorrebbe
suggerire qualche detrattore! Il “Kurni” sciorina un equilibrio fantastico e i
tannini ellagici sono perfettamente integrati; il frutto è esplosivo, le spezie dolci, il grado
alcolico importante. Poi c’è chi dice che è buono, ma non si riesce a finire la
bottiglia. Forse “loro”, i dispensatori di un simile giudizio, non riescono a finire la bottiglia! Non certo
ha questo problema chi ama il vino, è aduso a berne e non ha bisogno della
sferza acida e della freschezza per incentivare
la beva! E soprattutto vede nell’alcol una colonna portante della
costruzione enoica e non un nemico. Sono tanti i bevitori un po’ fragilini, che
svengono dopo qualche bicchiere! Dovrebbero cambiare mestiere, altro che
critica enologica!! Andrebbe loro
suggerito il campo delle limonate e affini !!!
Che nostalgia i nobili e sapienti “Bevitori d’una volta” ,
quelli che bevevano e apprezzavano quasi tutto , che raramente innalzavano
steccati ideologici ed erano rispettosi del lavoro altrui, quelli sempre pronti a meditare davanti ad un
bicchiere e ad involarsi ed obliarsi su ali alcoliche e che non badavano poi
tanto al cibo e non pensavano a chissà agli abbinamenti , sempre disposti
all’ulteriore bicchiere chiarificatore. Quelli hanno fatto la Storia del vino,
e non il puttanaio “
intelletual-radical-chic “ odierno.
Rosario Tiso
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