Chiunque
conosca il mio percorso sulla strada della consapevolezza enoica sa che non ho
mai avuto l’ossessione di trovare un
approdo,un ricovero intellettuale o di costruire una cosmogonìa vinicola che mi
appagasse; bensì la spinta ad esplorare,tentare le strade più ardite,perché il
vino è un universo infinito. Credevo che questa tendenza così
complessa,articolata ed entusiasmante non
sarebbe durata tutta la vita. Così sono passato dalla “Setta dei Bevitori
estinti” ai “Bevitori Randagi”, dal “Simposio dei Gaudenti” ai “Bevitori d’Alta
quota” e agli “Sfracanati”. E quando sembrava tutto compiuto, ecco attendermi un ulteriore passaggio,l’approdo al gradino
più alto della scala evolutiva del degustatore appassionato: il diventare un “Bevitore
Ecumenico”. La critica enologica è quella specie di consorteria sovranazionale collocabile
idealmente fra una lobby e una casta (portatrice di una sorta di “lebbra”
intellettuale )che ci ha fatto ritenere pregi del vino o comunque addendi qualificanti le nuances dette “gout de rancio”(gusto di
rancido),“merde de poule” (escrementi di pollo), “goudron”(catrame) e svariati
sentori animali quali la “pipì di gatto”
,l’afrore che promana da un “cavallo sudato” ,il vezzoso “foxy”,sentore
di volpe in fuga dal corno dei
cacciatori,etc. etc. Chi avesse osato sollevare obiezioni circa l’esistenza e la valenza positiva di
simili amenità era ed è sbeffeggiato e deriso col malcelato intento di
promuovere l’insorgenza di un senso di inadeguatezza nel reietto. Quando
trattasi di campioni particolarmente vetusti poi ,è roba da setta esoterica.
Bottiglie aperte con cautele chirurgiche e attese ore,giorni (a volte
settimane!!), bevute cerebrali,descrizioni mirabolanti e criptiche e chiusa d’ordinanza con la
fatidica frase che non è vino per tutti i palati. Chiaramente…ed
ovviamente…quasi nessuna possibilità di riscontri o smentite. Chi ci libererà
da queste menate autoreferenziali,dalle bottiglie ritrovate nelle stive delle navi naufragate o
dimenticate in remoti recessi di cantine sotterranee e immancabilmente ancora e
miracolosamente buone? Dai “brunelli” centenari e dai “porto” ultracentenari?
Dagli champagne bevuti quando non ci sono più bollicine,dai vini bianchi
costretti a fare i rossi da lungo invecchiamento,da rossi ormai decrepiti e
capaci solo di identificarsi nel paradigma dell’ambiguità formato dai termini elegante,fine
ed etereo che in ultima analisi sono parole che non sai mai quello che vogliono
veramente significare? Ai saccenti,ai supponenti,ai ricchi, ai “rigattieri del
gusto” ,coloro che quando avvertono in
degustazione un che di putrido,marcescente,mefitico si mettono a fare i
curiosi,dico: bevete e godete finchè potete,ma capirci qualcosa è questione
ardua,aperta,irrisolta e irrisolvibile. Insormontabile la montagna del gusto
personale. Opinabile qualsiasi costruzione intellettuale. Fallace la facoltà
dei sensi. Per cui ognuno invecchi come più gli aggrada e cessino i rumori di
battaglia e si smantellino gli schieramenti:non è più tempo di pontificare. La
verità enologica è un Giano “bifronte” con la faccia dell’Autarchia a
contrapporsi all’Ecumenismo enologico. Se da un lato ciascuno deve fare i conti
col proprio estro,la propria individualità,la soggettività del proprio schema
sensoriale(ho conosciuto degustatori che di fronte all’obiezione di eccessiva
acidità in un vino sostenevano la bontà dell’aceto!!),dall’altro è del tutto
infondato qualsiasi teorema di superiorità organolettica . Non ci resta che
amare tutti i vini. Sarebbe ingeneroso
infangare l’operato di tanti uomini appassionati solo perché sostengono uno
scenario gustativo alternativo al nostro o parlare di un Dio minore per tanta
parte dei doni della vite. Il gusto
personale resta;l’universalità del gusto e del piacere sensoriale trascende la
nostra limitata esistenza. Pertanto non mi unisco a nessuna schiera,non
sostengo nessuna tesi esclusiva,non mi interessa nessuna battaglia di parte se
non a fronte di clamorosi delitti perpetrati a danno della collettività e della
Natura che ci ospita. La manipolazione agronomica ed enologica è una scelta
personale ed una prerogativa dell’uomo nell’atto creativo:se condotta con
onestà intellettuale non è perseguibile!! L’afflato artistico appartiene alla Natura?Non
sempre,e spesso è evidente il primato
dell’uomo : Valentini, Gaja, Gravner, Tasca d’Almerita, Marchese Incisa della
Rocchetta ,Romano dal Forno, Marco Casolanetti, Gianfranco Fino, Sergio Manetti
stanno a testimoniarlo e potrei continuare all’infinito. I vini che derivano da diverse visioni del
mondo della viticoltura e della trasformazione dei suoi frutti sono
diversissimi tra loro ma,al netto di ragioni meramente salutiste,c’è del buono in
tanta parte del mondo enologico(e non solo nel nostro recinto preferito!!)ed è
estremamente qualificante dal punto di vista umano ed esperienziale riuscire ad
ottenere il bacio del piacere in misura certamente variabile ma da più parti. Così
a me piacciono soprattutto i vini
cosiddetti naturali(più o meno veri,più o meno biodinamici:ormai bevo quasi
solo quelli!!) ma non ho motivo per rifiutare le costruzioni enologiche che
inseguono un ideale di classicità fondato sulla scienza enologica che da Emìle Peynaud
discende fino ai “guru” dei
nostri tempi, i Rolland, i
Cotarella, i Cipresso, girovaghi e contesissimi. A me non è mai capitato di seguire il pensiero dominante,mai. Ho
sempre aspettato il responso del bicchiere,il confronto diretto con la realtà
che intendevo affrontare organoletticamente. Quale verità è mai quella che al
di là della collina cambia,che non è stata e che presumibilmente non sarà,e che
sul più bello spesso naufraga e ti costringe a fideistici salti nel buio? Non
mi vergogno di quello che mi procura
piacere,di quello che me ne ha procurato e del piacere che verrà: tutto cambia
ma c’è qualcosa di più grande che tutto contiene. Così non butto nulla e cerco
di espandere i sensi per contenere la generalità delle sensazioni ingenerate da
una bevuta,senza steccati ideologici. Un cuore espanso è l’approccio più adatto
per andare incontro a nettari di ogni tipo e di qualsivoglia parte del mondo. E
a chi considerasse l’adesione al “tutto”
una sorta di qualunquismo rispondo con una massima che campeggia all’ingresso
di un monastero zen:” Prima di praticare
per trent'anni lo Zen vedevo le montagne come montagne e le acque come acque.
Quando giunsi a una sapienza più profonda, vidi che le montagne non sono
montagne e le acque non sono acque. Ora che ho raggiunto l'essenza della
sapienza, sono in pace, perché vedo le montagne come montagne e le acque come
acque.” Ch'ing-yuan; ovvero “tutto si comprende,tutto si nega,tutto
si ritrova alla luce di una consapevolezza più profonda”. E alla fine si
accetta,perché un frammento di verità alberga in ogni cosa.
Rosario Tiso
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